C'era una volta il bianco Natale,
quando le stagioni, docili ed addomesticate, seguivano i ritmi del
calendario umano e la campagna dava i suoi frutti in modo corretto e
le persone avevano le ferie sempre nel periodo giusto per godersi il
sano caldo del mare. Ogni tanto, magari, signorina Primavera o Mister
Inverno, davano un colpo di testa e per uno, due giorni, si volevan
far notare, ma robetta di poco conto che veniva subito sistemata
dalle altre tre stagioni: "Via al tuo posto! Non è il tuo momento!".
Proprio in quel periodo, quando le
stagioni erano brave, per Natale c'era sempre una spruzzata di neve
che, con il suo bianco candore, rendeva meno grigio Mister Inverno. I
bambini aspettavano la vigilia di Natale, non certo per i regali, ma
per quel calore che solo a Natale si riusciva a sentir bene, un
calore che veniva da dentro, che veniva dai sorrisi di mamma e papà.
Il sugo rosso con i funghi secchi, i
pesciolini e l'anguilla e il merluzzo fritto che bontà!
C'era una volta il bianco Natale e il
panettone era semplicemente farcito con uvetta e canditi, il torrone
era duro duro, potevi sceglierlo ricoperto di cioccolato o senza, ma
era comunque duro e occorreva tempo, calma e tranquillità per
gustarlo. Attorno alla tavola adornata dalla tovaglia rossa la
famiglia era più unita che mai, e la fiammella della candela
sembrava la luce del sole dal tanto splendore e calore che emanava.
I giovanotti, con il cappotto, la
giacca e la cravatta, uscivano vicino alla mezzanotte per recarsi
alla messa. Le chiese gremite di spalle “cappottose”, nere, blu,
grigio topo, strette strette l'una all'altra, il fruscìo di fondo
dei colpetti di tosse, starnuti lievi e trattenuti, l'impeto dei cori
Natalizi e poi, per magia, quando il prete alzava l'Ostia benedetta,
calava un silenzio quasi surreale, i cuori eran stretti attorno a
quel simbolo d'amore unico ed eterno. Le chiese gremite di persone
che ci andavano solo una volta all'anno, ma quella volta, quella sola
volta, le persone riempivano le chiese con profonda devozione: in
fondo doveva durare un anno quella benedizione.
Finita la messa, focolari scoppiettanti
scaldavano “al vén brulè” o deliziavano i palati con le
caldarroste e immancabilmente c'era sempre il primo che diceva, con
voce allegra: "Nevica! Che gran bel bianco Natale".
-*-
C'era una volta il Bianco Natale...
ritmi frenetici da automi, si corre per le vie addobbate alla ricerca
dell'ultimo pensiero nella temperatura mite, quasi autunnale, e nel fracasso delle musiche natalizie sparate ovunque. Si corre alla ricerca di un regalo speciale che poi
tanto speciale forse non è. Si corre alla ricerca di una gioia non
proprio reale, non c'è più il tempo da donare e allora, con amara
soddisfazione, si regala un surrogato più o meno costoso.
La cena arriva, ci si siede quasi
ansimanti, un po' madidi di sudore e si mangia velocemente, si parla
di lavoro, di affari, di politica.
Finisce la cena, si scambiano i regali,
ma non sono più quei meravigliosi regali, sono regali di oggetti
tristi. Il tempo non c'è per fermarsi a scaldarsi il cuore, bisogna andare, bisogna correre a fare
l'aperitivo con gli amici.
Un cuore consumista ci muove e ci rende
frenetiche bestie da soma.
Si esce, vestiti eleganti, oppure come
un giorno qualsiasi. Non c'è più “al vén brulè”, la chiesa
non è più così piena, la benedizione annua non serve più a chi
non ha tempo nemmeno per se e per i suoi cari. Al Bar, bevendo un
amaro, veramente amaro, si borbotta: "Per fortuna che per ora non ha
nevicato".
Non fai in tempo a digerire il morbido
torrone, il panettone senza uvetta o senza canditi farcito con
improbabile creme dal gusto cioccolato o “plasticoso”, che arriva
la chiacchiera, la frittella, le maschere e i coriandoli.
Così, nella mischia del consumismo, la
neve è stata spedita in avanti e piano piano si consumano anche le
tradizioni.
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