venerdì 16 febbraio 2018

Racconto breve, senza storia,senza morale

IL SENZA-VERGOGNA

Mi chiamo Gianluigi Ricconzi, detto Gorilla, sono un figlio del popolo come tanti altri di voi, la differenza è che mio padre e prima mio nonno, hanno fatto la loro fortuna con il lavoro duro dei loro operai.
Sono comunque uno di voi, un figlio del popolo che, mentre mio padre fa lavorare duro i propri operai nella sua fabbrichètta, io con il fazzoletto rosso e il passamontagna vado a manifestare in piazza il mio sdegno contro la ricchezza.
Ne ho fatte tante di manifestazioni così. Io, Giorgio, Paolone, Marco il Guasto, sempre insieme a manifestare contro i ricchi e pronti a far qualsiasi cosa per difendere il diritto dei lavoratori.
I lavoratori dovrebbero ringraziare tutti quei figli del popolo che hanno i soldi e possono permettersi di passare il tempo a manifestare.
Noi combattiamo per i lavoratori!
Per questo manifestiamo.
La società è divisa così: lavoratori, ricchi e combattenti.
Io sono un combattente.
Un lavoratore è colui che spreme le sue forze e dona otto ore al giorno al padrone.
Tutti gli altri sono i ricchi. Artigiani, statali, politici (solo quelli di centro e di destra), e meritano di essere puniti e colpiti.
Ricordo ancora la prima auto che ho sfasciato: avevo 18 anni, era da poco uscita la nuova panda e lungo la strada del corteo vidi parcheggiata una panda nera nuova fiammante, ben curata, gomme nuove; pensai subito che quella era la macchina di un ricco e quindi doveva comprarne un'altra per far lavorare di più i compagni FIAT. Presi lo slancio e lasciai andare a tutta forza il carroarmato numero 44 dei miei anfibi Dr Martens sulla portiera.
SBAM!
La portiera del lato guida era rientrata per bene. Soddisfatto ridevo sotto il passamontagna ben calato sul viso. Mentre meditavo che fanale sfondare conobbi Paolone, alto e massiccio.
“Principiante” mi disse e lasciò andare una pedata stupenda contro il lunotto posteriore che andò in frantumi. Arrivarono quindi Marco il Guasto e Giorgio che, con due spranghe di ferro alla mano, fracassarono i quattro fanali.
Saltai sul cofano di quel simbolo della ricchezza più e più volte, mi feci passare una spranga e continuando a saltare a gambe divaricate sul cofano lasciavo cadere la spranga duramente sul tettuccio, ogni colpo abbassava il tettuccio, ogni colpo mi istigava a dare il successivo, ad ogni colpo urlavo.
Quel giorno io e i miei nuovi amici facemmo passare sotto le nostre cure tanti altri simboli di ricchezza.
Questo è stato l'inizio. Vi sembrano i ragionamenti di un pazzo?
Eppure, per loro, sono pazzo.
Quante manifestazioni! Milano, Torino, Roma, Bologna! Partivamo cantando Bandiera rossa, Bella ciao, sbattendo le suole a terra con cadenza militare, con i fazzoletti rossi legati al collo e le bandiere della pace a circondare i nostri corpi.
Ci tengo a precisare che io non ho fatto il militare perché odio le armi e la violenza e non riesco a sottostare agli ordini.
Le manifestazioni andavano sempre avanti bene e tranquille fino a quando qualche cordone di servi della democrazia dei ricchi ci impediva di andare dove volevamo. Allora scoppiava la rabbia! Questa non è democrazia, io vado dove voglio! Sono un cittadino libero!
Così iniziavano sempre gli scontri. Solitamente io mi gettavo solo sui simboli della ricchezza! Quindi auto, vetrine di negozi, se ci si riusciva anche contro le banche, ma lì era dura: vetri troppo spessi. La nostra lotta per i lavoratori costringeva il popolo ad asseragliarsi in casa e osservare impotente. Vigliacchi! Noi lottiamo per voi! Voi che domani andrete al lavoro!
Dopo svariate e svariate manifestazioni, io, Giorgio, Paolone, Marco il Guasto siamo giunti nelle prime file. Per la nostra sicurezza ci viene dato un casco a ciascuno, una bandiera della pace con asta, che all'occasione diventa spranga, uno zaino contenente uno scudo di fortuna.
Partiamo.
Andiamo al passo militare. Il fazzoletto rosso legato al collo, la bandiera della pace posata alla spalla, il passamontagna ben calato sul viso.
Marciamo, siamo in testa al corteo, tutti quelli dietro di noi aspettano il nostro segnale.
Vicini alla svolta dal percorso obbligato ci cingiamo le spalle con le bandiere della pace, come fossero mantelli, mettiamo gli scudi al braccio sinistro, ci mettiamo in fila ed iniziamo a marciare contro i servi delle democrazia dei ricchi.
Sbattiamo a ritmo le spranghe contro gli scudi. La legione nemica della democrazia ci blocca la strada. Ci fermiamo a un metro di distanza. Cala il silenzio.
Come da ordini ricevuti avanzo e grido: “In nome del popolo e della democrazia lasciateci passare!”
Nessuna risposta.
Così mi volto verso il mio esercito, rientro nei ranghi. Guardo la fila di fazzoletti rossi, passamontagna calati, scudi e spranghe pronti.
“Noi passeremo!”
Così è iniziato lo scontro contro la legione di demoni che difende i ricchi.
Si, in realtà sono demoni! Non sono esseri umani. Ho visto Paolone essere preso e trascinato all'interno del muro degli sbirri senza che ci fossero mani a tirarlo. Allo stesso modo ho visto sparire Marco il Guasto. Giorgio invece è sparito e basta.
Mi sono ritrovato tra cinque demoni dalle casacche infuocate che mi urlavano contro.
Ho gettato la bandiera della pace a terra e l'ho vista macchiata di sangue.
Già, maledetti demoni, avete macchiato la pace di sangue.
Mi sono lasciato cadere a terra e mi son ritrovato circondato da anfibi, non anfibi belli come i miei Dr Martens, anfibi dozzinali, anfibi da poco.
Mi sono sentito strattonare, il girocollo del Missoni che indossavo mi stringeva al collo.
Ed eccomi qui, in questa cella, ad aspettare insieme agli altri combattenti del popolo il nostro turno per essere rilasciati.
Sento la voce di mio padre.
Per fortuna papà ci sei tu con la tua ricchezza.

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